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IL PENTATEUCO

IL VALORE DOTTRINALE DEL PENTATEUCO
 

Una caratteristica fondamentale di tutto il Pentateuco è il suo “valore dottrinale. In un intreccio inscindibile fra mito, storia, legislazione e religione, il Pentateuco promuove la fedeltà alla “Legge” (detta anche la “Torah”), ritenuta la guida indispensabile atta a regolare i rapporti fra Dio e il popolo eletto. Poiché essa conteneva tutto l’insegnamento di Dio, rappresentava per Israele l’unico strumento idoneo per governare la vita quotidiana del popolo ebraico. Per questo il Pentateuco è ritenuto da Israele il libro per eccellenza, il libro che alimenta la sua fede, il libro dove l’israelita ritrova la spiegazione del suo destino e la risposta ai suoi interrogativi esistenziali. La scena di chiusura del libro di Giosuè, che descrive Israele quando ha varcato i confini della tanto sospirata terra promessa, può essere considerata la sintesi dell’intero Pentateuco che ruota essenzialmente attorno a tre eventi centrali: a) la vocazione alla fede dei Patriarchi b) il grande dono della libertà nell’epopea dell’esodo c) il meraviglioso segno della terra promessa, il luogo dove Israele vivrà la sua storia. «… io presi il vostro capostipite Abramo dalle terre al di là dell’Eufrate e lo condussi da un capo all’altro del territorio di Canaan. Gli diedi un figlio Isacco e numerosi discendenti… A Esaù diedi in possesso la zona di montagna di Seir. Più tardi Giacobbe e i suoi figli si stabilirono in Egitto. Ma in seguito io mandai Mosè e Aronne e colpii l’Egitto con i miei interventi. Così vi ho liberato….» (Gs 24 3,13)
Il popolo d’Israele ritrovava in quest’opera del Pentateuco l’origine, la storia, la legge della sua vita, del suo destino, della sua missione nel mondo, a patto però di conservarsi fedele a Dio, respingendo l’idolatria che da ogni parte lo circondava. Da qui nasceva la preoccupazione del legislatore affinché il popolo d’Israele non si legasse ad altri popoli pagani, si impegnasse ad isolarsi da essi per non contaminarsi, «osservo questo popolo dalla cima delle rocce, lo guardo dall’alto delle colline: è un popolo che vive in disparte e non si mescola con le altre nazioni» (Num 23,9), ricorrendo unicamente alla osservanza scrupolosa e intransigente della “Legge” dettata da ‘Colui’ che era in modo particolare il suo Dio e per il quale Israele era il suo popolo. Il primo segno della separazione dagli altri e di questa appartenenza a Dio fu costituito nella carne con la ‘circoncisione’, presentata per la prima volta nel libro della Genesi, nel contesto dell’alleanza fra Dio e Abramo, «reciderete la carne del vostro membro e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi» (Gen 17,11).
Di fronte alla pressione delle culture pagane del tempo, per difendere la propria identità religiosa, il popolo ebraico si vide costretto ad intrecciare rapporti bellicosi ed ostili con altre nazioni. La separazione dagli altri popoli spinse Israele anche a distruggere le popolazioni delle città sconfitte: un modo di fare che può apparire scandaloso e inconcepibile per la nostra mentalità ma, considerando il livello morale e il concetto di coscienza comune presso i popoli antichi, esso assumeva un ‘significato cultuale’, perché indicava l’offerta in sacrificio al proprio dio. Per questo, le ‘operazioni di guerra’ di cui è protagonista il popolo ebraico non vanno considerate come ‘spedizioni militari’, ma come ‘interventi religiosi’, vere e proprie ‘operazioni sacerdotali’ volte ad eliminare il male e a punire coloro che si rifiutavano di vivere secondo Dio.
Gli autori biblici vetero-testamentari (in particolare gli autori del Pentateuco), hanno immaginato e descritto un Dio invisibile, non come un soggetto astratto, ma come un essere concreto in azione nel mondo, a cui ciascuno deve rendere conto delle proprie azioni. Un Dio che stringe relazioni misteriose con gli uomini, ne dirige gli avvenimenti, un Dio che punisce i malvagi, un Dio che perfino combatte a fianco degli Israeliti per opporsi all’idolatria e sconfiggere gli infedeli. Quindi l’autore biblico, nel descrivere la condanna e la punizione per la mancanza di fede degli uomini, ha immaginato un Dio antropomorfo che nel combattere a fianco degli uomini manifesta alla maniera umana, con forza e talvolta con durezza espressiva, la sua collera e la sua ira nel condannare l’uomo peccatore.



 

Secondo la “dottrina cristiana” gli avvenimenti testimoniati dal Pentateuco pongono le basi teologiche all’annunzio della promessa, prefigurano un’attesa che si realizzerà compiutamente in colui che deve venire, quel ‘Gesù’ che rappresenta il ‘Nuovo Legislatore’, il termine ultimo verso il quale tende la ‘Storia della Salvezza’ e le dà tutto il significato.
Da questo punto di vista il Pentateuco rappresenta una tappa di formazione del popolo eletto di Dio, mirata a preparare le coscienze degli uomini verso una nuova e rinnovata religiosità: la “Vecchia Alleanza”, sancita da Dio con Mosè sul monte Sinai, verrà sostituita dalla “Nuova Alleanza”, ad opera di Gesù Cristo, il quale porterà la Parola di Dio fuori dagli stretti confini di Israele per essere annunziata a tutto il mondo. Ora il cristiano non sarà più obbligato alla rigida osservanza delle antiche prescrizioni della legge di ‘Mosè’, ma da essa dovrà trarne solo l’insegnamento morale e religioso. Gesù stesso nei Vangeli affermerà esplicitamente di non essere venuto ad abolire la “Legge”, ma a perfezionarla, per portare a compimento e a pienezza l’opera iniziata da Dio (Matteo, Cap 5). Attraverso due specifiche citazioni tratte dal Pentateuco, Gesù traccerà la sintesi dell’intero impegno religioso del credente: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente» (Dt. 6,5); «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19,18). Il ‘segno di appartenenza’ a Dio non sarà più costituito nella carne con la circoncisione, ma nello ‘Spirito’ con la purificazione impressa dal ‘rito del battesimo’.
La Chiesa Cattolica afferma che il Pentateuco sul piano dottrinale dev’essere visto e letto con lo sguardo rivolto a Cristo a cui esso mira, e alla nuova vita cristiana a cui esso prepara.

 
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