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SCOPRIRE LA CONOSCENZA DI DIO CON UN LINGUAGGIO SEMPLICE
 





GESU’ ERA CONSAPEVOLE DELLA SUA IDENTITA’ DIVINA?
AVEVA COSCIENZA DI ESSERE IL FIGLIO DI DIO?

 

Questo interrogativo, a cui potremmo rispondere a primo acchito affermativamente, dando per scontato che Gesù sapeva perfettamente di essere il Figlio di Dio, in realtà pone alcuni interrogativi che necessitano di una breve analisi e di una risposta.
Rilevo almeno due importanti considerazioni:
- La prima, è volta a dare una risposta interrogando direttamente i Vangeli sull’argomento;
- La seconda, prende in esame il ruolo che ‘erroneamente’ si potrebbe attribuire a Gesù, come di una persona “manipolata” da Dio.
Interrogando i Vangeli troviamo tantissimi segni diretti e indiretti da cui si desume che Gesù avesse coscienza della sua identità divina. Questo ancor prima che iniziasse il suo ministero pubblico.
Luca mette in bocca a Gesù dodicenne, ritrovato dai genitori nel Tempio di Gerusalemme, la frase “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49).
Giovanni nel Cap.2,16, mette in bocca a Gesù nel Tempio la frase “Non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato”. Basta aprire Giovanni dal Cap 13 al Cap 17 per rendersi conto che tutto il suo vangelo è un esplicito inno di lode e gloria rivolto al Padre e un susse-guirsi di autoproclamazioni di Gesù, Figlio di Dio.
Nei vangeli sinottici prevale la definizione che Gesù fa di se stesso, quella di “Figlio dell’uomo”, anziché Figlio di Dio. Addirittura in Marco, il vangelo più antico, caratterizzato dal cosiddetto <segreto messianico>, Gesù si autodefinisce quasi sempre “Figlio dell’uomo”. Nel Cap 11, sempre nel vangelo di Marco, Gesù si proclama “Il Signore”; durante il processo davanti a Pilato, accetta di essere chiamato soltanto “Il re dei giudei”.
In breve, Marco evita di mettere in bocca a Gesù il titolo cristologico ‘Figlio di Dio’
Matteo fino al Cap 7 descrive un Gesù che si rivolge alle folle con l’espressione: “Il Padre tuo”; il “Padre vostro”; il “Padre vostro celeste”. Nel Cap 7,21, per la prima volta, Gesù afferma: “Entrerà nel regno dei cieli colui che fa la volontà del Padre mio.” Nel Cap 11,25, Matteo descrive Gesù che fa la lode al Padre.
Nel vangelo di Luca , a parte l’episodio sopra menzionato, al Cap 10,21 Gesù, nell’esprimere la lode al Padre, afferma: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti etc.. si, Padre, perché così a te è piaciuto”. Al Getsemani afferma: “Padre se vuoi allontana da me questo calice” (Lc 22,42).
Da queste poche battute, si evince che Gesù nei vangeli, fin dagli inizi del suo ministero, ebbe consapevolezza e coscienza di essere il Figlio di Dio. L’ipotesi che abbia acquisito questa conoscenza strada facendo, o addirittura sulla croce, contrasta con il testo degli evangelisti.
A mio avviso, però, il vero problema non è tanto se Gesù fosse consapevole della sua identità divina, quanto l’analisi della sua figura terrena che potrebbe essere assimilata a quella di una persona che Dio manovra a suo piacimento, ossia di una persona che agisce <<passivamente>> nelle mani di Dio, in funzione di una missione di salvezza che doveva portare a compimento, e che necessariamente doveva concludersi con la sua morte in croce. In altre parole, Gesù potrebbe fare la figura di “un burattino” o di “una marionetta” nelle mani di Dio.
Ma in realtà non è così! Solo un’analisi superficiale dei Vangeli potrebbe portare ad una tale conclusione. Sappiamo bene infatti che Gesù nei Vangeli non agisce passivamente. Tutt’altro, ha un ruolo attivo nella vita socio-religiosa del tempo. Infatti:
a) porta un messaggio nuovo che, criticamente e coraggiosamente, oppone all’antica legge mosaica;
b) afferma la giustezza del suo insegnamento, mirato a mettere in evidenza le contraddizioni della società del tempo, stimolando il suo uditorio alla conversione e ad aderire liberamente ad un vita nuova incentrata sull’amore di Dio e del prossimo; non esita a criticare e a scon-trarsi contro le autorità religiose del tempo. Conosciamo bene le sue invettive contro i farisei.

Gli evangelisti, in definitiva, ci descrivono un ruolo attivo svolto da Gesù sul piano socio-religioso nella società in cui si muoveva; un Gesù che non agisce passivamente nelle mani di Dio, ma vive autonomamente e da protagonista la sua vita terrena. Gesù, quindi, si comportava da “vero uomo”, nel contesto di una realtà vera, alla stregua di qualsiasi altro maestro itinerante.
Ma, a questo punto, dobbiamo fare i conti anche con la seconda natura di Gesù, quella divina. Sappiamo che Gesù era, non solo vero uomo ma anche “vero Dio”. Questo vuol dire che in Gesù coesistono la natura umana e quella divina. Le due nature, umana e divina, sono integrate e interagiscono in regime di stretta complementarità. Questo vuol dire che non c’è prevalenza dell’una sull’altra. Se prevalesse la natura divina, allora si che potremmo supporre che il cammino di Gesù era stato “totalmente” tracciato e preordinato da Dio.
Quando Gesù parla o agisce, nella sua persona si esplicitano e agiscono contemporaneamen-te le due nature che caratterizzano la sua identità. Come natura umana esprime non solo il suo pensiero, ma anche le sue emozioni, i suoi umori, le sue passioni le sue debolezze, le sue gioie, i suoi dolori, le sue amarezze. Come natura divina, manifesta contemporaneamente la sua preconoscenza e la sua preesistenza nel mondo; attesta i suoi rapporti con il Padre che l’ha mandato sulla terra per attuare il progetto divino della salvezza dell’uomo, caduto nell’errore del “peccato originale”.
Non ci si deve meravigliare, quindi, se sulla tomba di Lazzaro manifesta la sua emozione piangendo e, subito dopo aver detto “Lazzaro vieni fuori”, afferma che il miracolo non era opera sua, ma frutto di una manifestazione del Padre, affinché la gente creda nella sua persona.
Anche nell’episodio del Getsemani affiorano chiaramente le due nature: da uomo mostra un attimo di debolezza invocando il Padre: “Allontana questo calice di dolore”, ma subito dopo si corregge affermando “Padre sia fatta la tua volontà”.


CONCLUSIONI

I Vangeli ci descrivono un Gesù che agiva attivamente da “vero uomo”, nel contesto storico-religioso di una società giudaica che si dimostrava ostile al suo insegnamento. Gesù, da “vero Dio”, aveva la preconoscenza degli eventi che gli sarebbero accaduti a conclusione della sua missione terrena. Infatti, ricordiamo, che lui stesso affermava di conoscere bene cosa c’è den-tro nei cuori degli uomini. Egli quindi sapeva bene, in anticipo, che sarebbe stato respinto, condannato e ucciso. A mio avviso Gesù fu costretto ad esplicitare questa predizione non per mero protagonismo (come avrebbe potuto fare un mago o un veggente del tempo), ma perché doveva preparare i suoi discepoli, cioè i futuri continuatori della sua opera, a questo tragico evento.
Allora possiamo veramente concludere che Gesù, pur nella consapevolezza di essere il Figlio di Dio, non si è comportato da marionetta nelle mani del Padre perché, alla fine, sulla croce non l’ha appeso Dio, ma gli uomini del suo tempo, i quali, per “libera scelta”, nonostante gli innumerevoli segni che aveva mostrato durante il suo ministero terreno, si rifiutarono di riconoscere la sua vera identità, respinsero il suo insegnamento e per questo lo punirono con la morte in croce.

 
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