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IL PENTATEUCO

I cinque libri

 

La prima parte della Bibbia è divisa in cinque grandi capitoli rappresentanti il cosiddetto “Pentateuco”, denominati ‘Genesi’ (origine del mondo e periodo patriarcale), ‘Esodo’ (uscita dall’Egitto e rivelazione del Sinai), ‘Levitico’ (libro della tribù sacerdotale di Levi e periodo di conquista della Palestina), ‘Numeri’ (censimenti e periodo monarchico), ‘Deuteronomio’ (seconda legge e periodo cosiddetto giudaico).
La divisione risale al Medio Evo. Fu dettata dall’esigenza di dare all’insieme un ordinamento per una comodità di lettura e facilitarne lo studio. Nella tradizione ebraica il Pentateuco costituisce il cuore della Bibbia e della rivelazione di Dio al suo popolo.
L’argomento di questi cinque libri inizia con la creazione del mondo e dell’umanità, quindi, soffermandosi attorno al popolo ebraico e sul suo capostipite Abramo, narrano le vicende dell’uscita dall’Egitto fino al suo ingresso nella terra promessa (la Palestina), sotto la guida di Mosè, l’intermediario attraverso il quale Israele ricevette la “Legge”.

1°) IL LIBRO DELLA GENESI - È il primo libro della della Bibbia, il <Principio> di quella catena ininterrotta di eventi che descrivono l’inizio del dialogo tra Dio e l’umanità. Genesi tratta di Dio, del mondo, dell’uomo e della sua condizione, della sua chiamata e della sua disubbidienza al progetto divino della creazione.
Con uno stile semplice e figurato, impregnato di mitismo, enuncia la verità fondamentale su cui si basa l’insegnamento rivelato da Dio all’uomo: “La condizione umana non è frutto del caso o del caos, ma è volta primariamente al riconoscimento di Dio, suo Creatore e Padre”.
Il libro della Genesi si regge sostanzialmente su due “tavole”:
La prima tavola, ha per protagonista ‘Adam’, una figura simbolica a rappresentare l’uomo archetipo che, con la complicità della sua donna Eva, prescinde dal disegno di Dio.
La secoda tavola ha per protagonista ‘Abram’ e la sua discendenza. Vi è descritta la storia dei cosidetti Patriarchi, uomini attraverso i quali Dio tenta il recupero dell’umanità caduta nel peccato, inviando per mezzo di loro un messaggio di fede, di speranza e di vita. La loro storia e' importante per comprendere i presupposti da cui si diparte l'alleanza instaurata da Dio rivelandosi al popolo d’Israele, attraverso cui si sviluppera' il Progetto divino della Salvezza nel corso dell'Antico e del Nuovo Testamento.
 


 

Dopo la “caduta” dell’umanità nel peccato originale Dio non abbandona le sue creature, assicura e promette ancora il suo aiuto per costituire un nuovo ordine del mondo. Chiama a sé uomini scelti come Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e infine tutto il popolo d’Israele. Dio manifesta costantemente il suo interesse a far risollevare l’umanità dal peccato, intervenendo a favore del popolo ebraico che, dopo averlo liberato dalla schiavitù d’Egitto, lo pone in una nuova condizione di libertà, di sicurezza e di vita, gli dona anche un luogo in cui dimorare, la terra di Canaan. Dio accompagna il suo popolo negli spostamenti, impartisce istruzioni e lo difende, combattendo anche al suo fianco. Per preparare e realizzare il compimento delle promesse Dio instaura con Israele un patto di alleanza. È un <patto di alleanza>, regolato dalla “Legge”, la “Torah”, dettata da Dio stesso il quale esige, come contropartita l’osservanza e la fedeltà, il rifiuto intransigente degli dèi stranieri, il riconoscimento della sua ‘Unica Signoria’. I temi dell’elezione, della promessa, dell’alleanza e della fedeltà sono le fila che percorrono tutto l’Antico Testamento. La “Legge”, nelle intenzioni divine, detta le condizioni atte a regolare la vita morale, sociale, cultuale, politica e religiosa del suo popolo. La “Legge”, costituisce essenzialmente la ‘pedagogia’ trasmessa da Dio al popolo eletto, espressione e fondamento della ‘Sua’ religiosità.


LA STORIA DEI PATRIARCHI E LE ORIGINI DEL POPOLO DI DIO
 

La seconda parte del libro della Genesi concentra l’attenzione sulla chiamata di Abramo, verso il 1850 a.C., per farne testimone della sua unicità. Sul piano teologico, con la vocazione di Abramo, Dio separa Israele dalle popolazioni corrotte del tempo e instaura un patto di alleanza con la sua discendenza, cioè il popolo di Israele su cui Dio riporrà tutte le sue promesse e le sue aspirazioni.
Questa prima fase della Storia della Salvezza raccoglie l’oscuro e arcaico periodo patriarcale (1850-1700 a C.). Di esso l’archeologia ha confermato i dati generali della vita seminomade di quel periodo e li ha trovati corrispondenti al modello sociologico del Vicino Oriente agli inizi del II° millennio a.C.



 

Con Abramo inizia la storia dei Patriarchi: Dio si rivela all’antenato di un clan di nomadi che protegge e guida. Una serie di brevi racconti, slegati fra loro, talvolta a forma di aneddoti, talvolta anche dai tratti pittoreschi, narrano l’origine e le migrazioni degli antenati di Israele; descrivono i loro legami geografici ed etnici, il loro comportamento morale e religioso. Non è possibile descrivere una storia completa dei Patriarchi, così come l’intendiamo oggi, non solo a motivo della lontananza del tempo che ci separa, ma sprattutto perché essi e i loro gruppi vissero ai margini della storia politica, ai margini cioè della “grande storia”. Anche se non siamo in grado di dimostrarne la storicità in senso assoluto, o assegnare una datazione certa, dalle scoperte archeologiche ed epigrafiche del vicino Antico Oriente è stata rilevata l’analogia generale dei racconti. Gli stessi nomi di Abramo e di Giacobbe compaiono nei testi del II° millennio a.C.
La storia dei Patriarchi fondamentalmente è una “storia religiosa”, la cui importanza è basilare per capire l’inizio della storia del popolo di Dio e l’origine dell’alleanza conclusa da Dio con il popolo d’ Israele. La loro storia è importante per comprendere l’evolversi del “Progetto divino della Salvezza” che si svilupperà nel corso del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Con la storia di Abramo, e con la sua risposta alla chiamata di Dio, in definitiva si pongono le radici su cui si fonda la fede d’Israele. Per questo è considerato il padre del popolo eletto da Dio, l’uomo della fede, la cui ubbidienza è ricompensata da Dio con la promessa di una lunga discendenza e di una terra su cui dimorare. Con la promessa di Dio ad Abramo inizia ufficialmente la ‘Storia biblica della Salvezza’, dopo la caduta dei progenitori Adamo ed Eva: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gn 12,1-3).
È veramente singolare la comparsa di un personaggio come Abramo che di “colpo” vive da “monoteista” in una società dominata dal culto pagano politeista. La sua figura primeggia su tutti: è il prototipo dell’uomo giusto che ha una fede incrollabile nella parola di Dio. Il Nuovo Testamento per questo porterà Abramo ad esempio dell’uomo che, in contrasto con le tendenze del giudaismo antico testamentario, ottenne la giustificazione non per mezzo delle opere (cioè delle osservanze della legge mosaica) ma per mezzo della sua fede.
I discendenti di Abramo sono Isacco e Giacobbe. I costumi di Abramo e dei suoi discendenti ricordano da vicino quelli dei clan di seminomadi, padroni di pecore e capre, che andavano peregrinando lungo la regione della cosiddetta ‘mezzaluna fertile’. Essi vissero a contatto con le popolazioni sedentarie locali con cui intrattennero relazioni per lo più pacifiche, ma talvolta anche ostili; via via appaiono stabilmente stanziarsi nel paese di Canaan, che diventerà poi la terra dei loro discendenti. Le loro preoccupazioni fondamentali erano quelle di mantenere in vita le loro famiglie in una regione travagliata dalla carestia e assicurare pascoli abbondanti al loro bestiame. Erano convinti della loro fede fondata sul culto di un ‘Dio personale’ che sentivano camminare con loro durante gli spostamenti, di un Dio che prometteva tutto quanto occorreva alla loro precaria esistenza: la protezione, la fecondità, la discendenza e il possesso della terra, nel contesto di un patto al quale il clan doveva rimanere fedele.
La storia di Isacco è narrata soprattutto per i rapporti intercorsi con suo padre Abramo. La Bibbia descrive Isacco come una persona, pallida e indifesa, prigioniero degli intrighi dei suoi stessi familiari. La sua figura è quasi subito soverchiata da quella del figlio Giacobbe, un personaggio piuttosto complesso presentato inizialmente dall’autore biblico come l’uomo dell’astuzia che agisce di propria volontà, determinato nel raggiungere i suoi fini con ogni mezzo, in lotta costante con i suoi parenti, ma pronto a tutto pur di impossessarsi della benedizione di Dio. Tuttavia Dio lo protegge e agisce in lui, utilizzandolo quale antenato del popolo eletto: i suoi dodici figli, infatti, saranno gli antenati delle dodici tribù d’Israele.

 


 

2°) IL LIBRO DELL’ ESODO - Il secondo libro del Pentateuco, l’ Esodo tratta dell’uscita dall’Egitto e dell’Alleanza fra Dio e il suo popolo. Fu intitolato “Esodo” perché narra come Dio liberò gli ebrei, facendoli uscire dall’Egitto. Il libro si sviluppa attorno ad una “uscita” del popolo ebraico che, oppresso dalla potenza egiziana, “esce” dalla terra dei Faraoni verso un nuovo orizzonte di libertà; “esce” dalle limitazioni e dalle imposizioni religiose egiziane per servire il Signore in un culto libero e sincero. Gli Israeliti, una volta liberi, vagano attraverso il deserto e giungono al monte Sinai, dove si realizza un altro grandioso evento: l’alleanza tra Dio e il suo popolo. Dio consegna a Mosè il “Decalogo”, i così detti “Dieci Comandamenti” che costituiranno la base della “morale biblica” e la risposta che Israele dovrà offrire al Dio quale segno di riconoscimento per averlo sottratto alla oppressione dei Faraoni. Dio ha liberato per amore il popolo ebraico, ma esso ora è chiamato ad onorarlo, adorarlo e corrisponderlo in un amore vicendevole. Per questo Mosè riceve da Dio indicazioni particolareggiate per la costruzione della “Legge” e l’uso di tutto quello che servirà alla celebrazione del culto del Signore. Dopo la narrazione dell’infedeltà degli Israeliti, che raffigurano Dio nella forma di un vitello d’oro, il libro nell’ultima parte racconta come il popolo costruì tutto quanto era necessario per il culto del Signore, ubbidendo ai suoi ordini. Così gli Israeliti possono iniziare il cammino attraverso il deserto, verso la terra promessa da Dio, la terra di Canaan. Molte ricerche sono state fatte per delimitare il tempo in cui questi fatti sarebbero avvenuti. Il libro dell’Esodo è stato scritto per esprimere la fede d’Israele, ciò non significa che esso poggia su fatti immaginari. Si era probabilmente nel XIII° secolo a.C., dopo il regno del Faraone Ramses II, nel tempo in cui governava l’Egitto il Faraone Merneptah.
L’Esodo rimarrà nella storia e nella fede d’Israele un grande segno divino: Dio che si rende presente nel popolo d’Israele e si rivela nella storia come il ‘Signore’ della libertà. Il libro dell’esodo sul piano teologico non è un libro compiuto. È ritenuto dagli studiosi il libro di un popolo in cammino. Quale testimone dell’intervento salvifico di Dio nella storia umana, esso nutre la speranza di una nuova futura libertà che sarà vista dagli autori del Nuovo Testamento nella salvezza definitiva recata da Gesù Cristo.

 


 

3°) IL LIBRO DEL LEVITICO - Il libro del Levitico tratta della Liturgia. Il titolo si riferisce alla tribù di Levi; il contenuto del libro riguarda l’attività cultuale dei sacerdoti leviti. Il Levitico è nato dalla riflessione dei sacerdoti che hanno voluto raccogliere in un’unica opera tutta la legislazione religiosa, sociale ed etica d’Israele. Religione, legge e morale sono così intimamente legate in una unità, come presso nessun’altra religione. Infatti si interessa delle norme che rendono possibile l’accesso del fedele al culto, al fine di sviluppare la loro vita spirituale. Tratta di norme sacrificali e rituali che consentono di celebrare nella liturgia e nella vita quotidiana l'incontro con Dio; mirano a far sentire ai fedeli che le praticano il legame continuo e indissolubile con Dio. Cardine della morale del Levitico è la distinzione tra ‘sacro e profano’, tra ‘puro e impuro’. Da questo principio derivano precise norme che riguardavano l’uso degli alimenti e del sesso. Il libro, che ha come sfondo ideale il Sinai e la rivelazione di Dio a Mosè, contiene un “complesso di leggi” destinate agli Israeliti. In esse Dio spiega come eliminare quello che ostacola la comunione con lui; come agire perché la tenda (luogo della presenza del divino) sia davvero un luogo di incontro tra Dio e il popolo; come i sacerdoti devono offrire i sacrifici.
Il terzo libro del Pentateuco, in definitiva, è un inneggiare alla “legge della sacralità e della santità”. La legislazione liturgica e sacrale racchiude l’area in cui si compiono i riti ed ha nel tempio il suo segno più alto. Essa è costituita da un insieme di leggi, apparentemente formali ed esteriori, atte a ricordare ai credenti di tutti i tempi e di ogni luogo che la comunione con Dio è una necessità vitale per l’uomo e che tutta l’esistenza del fedele deve essere coinvolta nell’adesione al Signore. La santità è una virtù morale che origina da atteggiamenti interiori dell’uomo e coinvolge la sua coscienza, norma che verrà ripresa e ampiamente sviluppata da Gesù nei Vangeli. La legge della santità deve regolare la vita sociale e liturgica del popolo, perché tutto deriva dalla Santità di Dio.
Il Levitico è forse il libro dell’A.T. meno letto dai cristiani. Effettivamente non è facile abbordarlo, tanto più che sembra trattare di pratiche alquanto anacronistiche per il lettore moderno. Certamente, però, è un libro che giustifica e legittima il bisogno umano di esprimere la propria fede con gesti religiosi. Al tempo stesso il Levitico preannunzia e prepara la venuta di Gesù Cristo, cioè di colui che con il sacrificio della sua vita ha portato alla massima espressione di spiritualità i valori del culto e della santità.

 

 

4°) IL LIBRO DEI NUMERI - Il libro dei Numeri parla del Popolo di Dio in cammino nel deserto. Il libro dei Numeri è stato così intitolato dall’antica tradizione greca perché riporta molti elenchi e censimenti degli Israeliti. In effetti il suo contenuto è molto più ampio; è il più complesso dei libri del Pentateuco. Il libro si presenta al lettore sotto forma di racconto, ma il filo conduttore finisce spesso per sparire sotto la complessità delle prescrizioni legali intercalati da particolari narrativi. Il libro dei Numeri rappresenta la continuazione dei due libri precedenti (Esodo e Levitico). Ci mostra il popolo di Dio nella sua realtà più umana, che alterna fiducia e dubbio; un popolo soggetto a farsi catturare dalla tentazione dello scoraggiamento, della ribellione e dell’idolatria. Così appare molto chiara, per contrasto, la costante fedeltà di Dio verso il suo popolo, il che non esclude però severità e giustizia.
L’unità narrativa del libro dei Numeri va incentrata nel “deserto”. Lo sfondo entro cui sono collocate le leggi e le narrazioni di questo libro è, infatti, quello del deserto del Sinai, attorno a cui Israele è accampato in attesa della grande marcia di avvicinamento alla terra promessa. Gli Israeliti, dopo aver ricevuto le leggi che Dio aveva comunicato a Mosè, si mettono in cammino; il loro viaggio attraverso il deserto li conduce dapprima a Kades, all’ingresso della terra promessa. Ma essi hanno paura di entrarvi. Sono così condannati dal Signore a trascorrere quarant’anni nel deserto. Solo allora si dirigono dopo un lungo e faticoso giro ai confini del territorio di Moab. Gli ultimi capitoli riportano vari avvenimenti alle soglie della terra tanto attesa e sperata, cioè nella terra di Canaan. Si incontrano qui gli ultimi grandi ostacoli, quali la ribellione a Mosè e la tentazione dell’idolatria.
Sono tre i grandi attori che dominano la scena di questo libro. Innanzitutto il Signore che con i suoi comandi tende ad organizzare Israele in una comunità santa e unita sulla quale aleggia sempre la Sua presenza, legata all’arca dell’alleanza. Il popolo non è mai solo o abbandonato. Accanto a Dio emerge Mosè (il secondo attore), che funge da mediatore tra il Signore e Israele. Mosè svolge nelle vicende riferite in questo libro un ruolo difficile da interpretare. Mosè è il profeta delle esigenze di Dio con il quale nutre grande confidenza, ma nello stesso tempo rimane intensamente legato al suo popolo infedele. Da ultimo, ecco il terzo attore, il popolo di Israele. L’autore biblico ce lo presenta sotto tre fondamentali angolature: - come “un popolo in cammino” governato dalla parola del Signore, votato al suo culto; - come “un popolo isolato”, sottratto quindi ad ogni influenza straniera; - come “un popolo in formazione” nel quale molti problemi fondamentali attendevano ancora una risposta. Descritto nella sua struttura tribale, militare e religiosa attraverso i censimenti, Israele è spesso ribelle e ostinato. Ma il Signore rimane sempre accanto al suo popolo, anche se esso si dimostra infedele. È il Signore a vincere la resistenza delle forze della natura che sembrano opporsi al cammino verso la terra promessa (la mancanza d’acqua e di cibo, la comparsa di serpenti velenosi); è lui a piegare le resistenze ostili delle tribù beduine nel deserto, combattendo a fianco di Israele.
L’analisi teologica del testo mette in rilievo la coscienza molto acuta del male e del peccato, quale realtà del mondo permanente e cronica. Ebbene, <Dio sceglie un popolo di peccatori> destinandolo a portare la benedizione di Dio all’intera umanità; è un messaggio che il popolo dei cristiani avrà bisogno sempre di riascoltare per restare fedele alla propria chiamata alla santità, e senza perdere di vista o scoraggiarsi di fronte alla realtà di uomini che essa raduna.
La Chiesa di oggi deve riconoscersi nella riflessione di fondo che scaturisce dal libro dei Numeri, per aiutarla ad affrontare le crisi che inevitabilmente attraversano il suo cammino di fede.

 


 

5) IL LIBRO DEL DEUTERONOMIO - Il libro del Deuteronomio tratta della legge e della morale. Infelicemente intitolato Deuteronomio, cioè “Seconda Legge”, dall’antica traduzione greca detta dei settanta. Il quinto libro del Pentateuco è conosciuto anche sotto il nome di “Torah” o “Legge”, ma sarebbe stato meglio definirlo con il titolo ebraico di “Parole” o “Discorsi”. Infatti l’opera si presenta come una serie di discorsi messi in bocca a Mosè, al cui interno vengono presentate leggi e prescrizioni morali atte a reggere Israele e a regolare ogni situazione di vita quotidiana. Esse sono affidate al popolo con particolare passione e intensità, con uno stile che richiama le ‘omelie’. I grandi temi veicolati dal Deuteronomio sono incentrati: - sul mistero di Dio; - sull’elezione di un popolo nella continuità della storia; - sull’Alleanza di Dio con il popolo; - sull’esigenza di un agire corrispondente, rispettando la legge data da Dio a indicare l’unica via verso cui deve procedere l’intero popolo; - sul ringraziamento per il dono della terra promessa. Questo insegnamento è destinato a tutto Israele. L’ascoltatore, invitato ad aderire con amore e fedeltà, è interpellato con tono persuasivo, ora col voi ora col tu, proprio perché tutti e ciascuno si sentano coinvolti. Trascinato dall’entusiasmo e dalla passione, l’autore biblico costruisce un linguaggio particolare caratterizzato da inviti pressanti: “Ascolta Israele…”, “Osserva Israele…”, “Amare il Signore tuo/nostro/vostro Dio… con tutto il cuore e con tutta l’anima”, “Seguite la strada del Signore…”, “Osservate e mettete in pratica gli ordini, le leggi e le norme…” etc, etc.
Se considerato <in senso generale>, il Deuteronomio rappresenta una conferma delle leggi contenute nei libri precedenti, a cui però si aggiungono molti elementi nuovi. In tal senso, la prima legislazione sarebbe quella iniziata al Sinai, e sviluppatesi lungo la peregrinazione nel deserto; mentre la seconda sarebbe quella formulata prima dell’ingresso nella terra promessa.
Sul <piano narrativo> appare al lettore come un’opera notevolmente complessa, difficile da intravedervi un filo conduttore. Visto nelle sue linee generali il libro si presenta come il resoconto di tre discorsi pronunziati da Mosè, per ricordare agli Israeliti le esigenze dell’alleanza che Dio ha fatto con loro. Il primo discorso riassume le vicende vissute dagli Israeliti nel deserto dopo la partenza dal Sinai; rivolge loro esortazioni generiche e si conclude con l’invito a essere fedeli all’alleanza con il Signore. Il secondo discorso, più lungo e il più importante, dopo aver ribadito i principi del Decalogo, contiene una nuova promulgazione della “Legge” contenente norme religiose, insegnamenti etico-morali e legislativi. Dice Mosè che l’amore di Dio mostrato verso il suo popolo esige ora la fedeltà da parte del popolo con l’osservanza della “Legge”. Il terzo discorso riferisce le ultime disposizioni di Mosè, e si conclude con benedizioni in caso di fedeltà, e maledizioni in caso di ribellione alla legge del Signore. Segue, a conclusione, un’appendice storica che narra l’elezione di Giosuè a successore di Mosè, il racconto della sua morte e la benedizioni alle dodici tribù.
Sul <piano redazionale> il Deuteronomio è costituito da una vasta raccolta di scritti e di precetti tratti dalla predicazione levitica, nata con Mosè. Con le sue esortazioni, i suoi sentimenti e le sue promesse il libro accompagnò costantemente Israele dalle soglie della terra promessa fino al momento dell’esilio babilonese.
 

“Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo”
 

Troviamo in questa affermazione quanto costituì per Israele il riferimento di base, il punto di partenza e di convergenza di ogni pensiero e di ogni azione. La frase: - “il nostro Dio” - implica che egli è considerato innanzitutto come colui che si è manifestato attraverso la storia di un popolo. L’affermazione: - “Israele ha potuto vedere con i propri occhi” – è come dire, il Signore stesso gli ha donato la capacità di poterlo riconoscere nel suo agire. Tutto ciò deve indurre Israele a ringraziare il Signore per i suoi doni elargiti al popolo, ma implica anche il dovere di una risposta attiva rimanendo fedeli alla sua legge in ogni suo particolare, affinchè Israele possa entrare veramente a contatto con gli avvenimenti della salvezza.
L’autore biblico mette in risalto l’importanza e la libertà dell’obbedienza alla legge di Dio; egli presenta la legge accompagnandola a promesse di prosperità a quanti la praticano e a minacce di disgrazia per chi la trasgredisce. Infatti la “Legge”, contropartita dell’alleanza, pone Israele di fronte a una questione di vita o di morte, di scelta fra il bene e il male. La libera scelta tra due strade, quella che porta alla morte spirituale e quella che conduce alla via della salvezza, costituirà uno dei temi centrali dei Vangeli.
Sul <piano teologico> il Deuteronomio si potrebbe definire come “una grande riflessione” dell’intera storia del popolo d’Israele, in cui l’autore biblico puntando sul valore dell’allenza instaurata da Dio con il popolo ebraico ribadisce, attraverso diverse angolature, la necessità di osservare la legge per rimanere vicini al Signore, e ammonisce sulla continua tentazione del popolo a ribellarsi a Dio. L’autore del Deuteronomio invita a ripensare gli avvenimenti che sono alla radice della storia del popolo d’Israele e a rispondere con fedeltà sincera e con amore.

 
 
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