La prima parte della Bibbia è divisa in cinque grandi
capitoli rappresentanti il cosiddetto “Pentateuco”, denominati ‘Genesi’
(origine del mondo e periodo patriarcale), ‘Esodo’ (uscita
dall’Egitto e rivelazione del Sinai), ‘Levitico’ (libro della
tribù sacerdotale di Levi e periodo di conquista della Palestina), ‘Numeri’
(censimenti e periodo monarchico), ‘Deuteronomio’ (seconda
legge e periodo cosiddetto giudaico).
La divisione risale al Medio Evo. Fu dettata dall’esigenza di dare
all’insieme un ordinamento per una comodità di lettura e facilitarne lo
studio. Nella tradizione ebraica il Pentateuco costituisce il cuore della
Bibbia e della rivelazione di Dio al suo popolo.
L’argomento di questi cinque libri inizia con la creazione del mondo e
dell’umanità, quindi, soffermandosi attorno al popolo ebraico e sul suo
capostipite Abramo, narrano le vicende dell’uscita dall’Egitto fino al suo
ingresso nella terra promessa (la Palestina), sotto la guida di Mosè,
l’intermediario attraverso il quale Israele ricevette la “Legge”. |
1°) IL LIBRO DELLA GENESI - È il primo
libro della della Bibbia, il <Principio> di quella catena ininterrotta di
eventi che descrivono l’inizio del dialogo tra Dio e l’umanità. Genesi
tratta di Dio, del mondo, dell’uomo e della sua condizione, della sua
chiamata e della sua disubbidienza al progetto divino della creazione.
Con uno stile semplice e figurato, impregnato di mitismo, enuncia la verità
fondamentale su cui si basa l’insegnamento rivelato da Dio all’uomo: “La
condizione umana non è frutto del caso o del caos, ma è volta primariamente
al riconoscimento di Dio, suo Creatore e Padre”.
Il libro della Genesi si regge sostanzialmente su due “tavole”:
La prima tavola, ha per protagonista ‘Adam’, una figura
simbolica a rappresentare l’uomo archetipo che, con la complicità della sua
donna Eva, prescinde dal disegno di Dio.
La secoda tavola ha per protagonista ‘Abram’ e la sua
discendenza. Vi è descritta la storia dei cosidetti Patriarchi, uomini
attraverso i quali Dio tenta il recupero dell’umanità caduta nel peccato,
inviando per mezzo di loro un messaggio di fede, di speranza e di vita. La
loro storia e' importante per comprendere i presupposti da cui si diparte
l'alleanza instaurata da Dio rivelandosi al popolo d’Israele, attraverso cui
si sviluppera' il Progetto divino della Salvezza nel corso dell'Antico e del
Nuovo Testamento.
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Dopo la “caduta” dell’umanità nel peccato originale
Dio non abbandona le sue creature, assicura e promette ancora il suo aiuto
per costituire un nuovo ordine del mondo. Chiama a sé uomini scelti come
Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e infine tutto il popolo d’Israele. Dio
manifesta costantemente il suo interesse a far risollevare l’umanità dal
peccato, intervenendo a favore del popolo ebraico che, dopo averlo liberato
dalla schiavitù d’Egitto, lo pone in una nuova condizione di libertà, di
sicurezza e di vita, gli dona anche un luogo in cui dimorare, la terra di
Canaan. Dio accompagna il suo popolo negli spostamenti, impartisce
istruzioni e lo difende, combattendo anche al suo fianco. Per preparare e
realizzare il compimento delle promesse Dio instaura con Israele un patto di
alleanza. È un <patto di alleanza>, regolato dalla “Legge”, la “Torah”,
dettata da Dio stesso il quale esige, come contropartita l’osservanza e la
fedeltà, il rifiuto intransigente degli dèi stranieri, il riconoscimento
della sua ‘Unica Signoria’. I temi dell’elezione, della promessa,
dell’alleanza e della fedeltà sono le fila che percorrono tutto l’Antico
Testamento. La “Legge”, nelle intenzioni divine, detta le condizioni atte a
regolare la vita morale, sociale, cultuale, politica e religiosa del suo
popolo. La “Legge”, costituisce essenzialmente la ‘pedagogia’ trasmessa da
Dio al popolo eletto, espressione e fondamento della ‘Sua’ religiosità. |
LA STORIA DEI PATRIARCHI E LE ORIGINI DEL POPOLO DI
DIO
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La seconda parte del libro della Genesi concentra
l’attenzione sulla chiamata di Abramo, verso il 1850 a.C., per farne
testimone della sua unicità. Sul piano teologico, con la vocazione di
Abramo, Dio separa Israele dalle popolazioni corrotte del tempo e instaura
un patto di alleanza con la sua discendenza, cioè il popolo di Israele su
cui Dio riporrà tutte le sue promesse e le sue aspirazioni.
Questa prima fase della Storia della Salvezza raccoglie l’oscuro e arcaico
periodo patriarcale (1850-1700 a C.). Di esso l’archeologia ha confermato i
dati generali della vita seminomade di quel periodo e li ha trovati
corrispondenti al modello sociologico del Vicino Oriente agli inizi del II°
millennio a.C. |

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Con Abramo inizia la storia dei Patriarchi: Dio si
rivela all’antenato di un clan di nomadi che protegge e guida. Una serie di
brevi racconti, slegati fra loro, talvolta a forma di aneddoti, talvolta
anche dai tratti pittoreschi, narrano l’origine e le migrazioni degli
antenati di Israele; descrivono i loro legami geografici ed etnici, il loro
comportamento morale e religioso. Non è possibile descrivere una storia
completa dei Patriarchi, così come l’intendiamo oggi, non solo a motivo
della lontananza del tempo che ci separa, ma sprattutto perché essi e i loro
gruppi vissero ai margini della storia politica, ai margini cioè della
“grande storia”. Anche se non siamo in grado di dimostrarne la storicità in
senso assoluto, o assegnare una datazione certa, dalle scoperte
archeologiche ed epigrafiche del vicino Antico Oriente è stata rilevata
l’analogia generale dei racconti. Gli stessi nomi di Abramo e di Giacobbe
compaiono nei testi del II° millennio a.C.
La storia dei Patriarchi
fondamentalmente è una “storia religiosa”, la cui importanza è basilare per
capire l’inizio della storia del popolo di Dio e l’origine dell’alleanza
conclusa da Dio con il popolo d’ Israele. La loro storia è importante per
comprendere l’evolversi del “Progetto divino della Salvezza” che si
svilupperà nel corso del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Con la storia di Abramo, e con la sua risposta alla chiamata di Dio, in
definitiva si pongono le radici su cui si fonda la fede d’Israele. Per
questo è considerato il padre del popolo eletto da Dio, l’uomo della fede,
la cui ubbidienza è ricompensata da Dio con la promessa di una lunga
discendenza e di una terra su cui dimorare. Con la promessa di Dio ad Abramo
inizia ufficialmente la ‘Storia biblica della
Salvezza’, dopo la caduta dei progenitori Adamo ed Eva: «Vattene
dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese
che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e in te saranno benedette
tutte le famiglie della terra» (Gn 12,1-3).
È veramente singolare la comparsa di un personaggio come Abramo che di
“colpo” vive da “monoteista” in una società dominata dal culto pagano
politeista. La sua figura primeggia su tutti: è il prototipo dell’uomo
giusto che ha una fede incrollabile nella parola di Dio. Il Nuovo Testamento
per questo porterà Abramo ad esempio dell’uomo che, in contrasto con le
tendenze del giudaismo antico testamentario, ottenne la giustificazione non
per mezzo delle opere (cioè delle osservanze della legge mosaica) ma per
mezzo della sua fede.
I discendenti di Abramo sono Isacco e
Giacobbe. I costumi di Abramo e dei suoi discendenti ricordano da vicino
quelli dei clan di seminomadi, padroni di pecore e capre, che andavano
peregrinando lungo la regione della cosiddetta ‘mezzaluna fertile’. Essi
vissero a contatto con le popolazioni sedentarie locali con cui
intrattennero relazioni per lo più pacifiche, ma talvolta anche ostili; via
via appaiono stabilmente stanziarsi nel paese di Canaan, che diventerà poi
la terra dei loro discendenti. Le loro preoccupazioni fondamentali erano
quelle di mantenere in vita le loro famiglie in una regione travagliata
dalla carestia e assicurare pascoli abbondanti al loro bestiame. Erano
convinti della loro fede fondata sul culto di un ‘Dio personale’ che
sentivano camminare con loro durante gli spostamenti, di un Dio che
prometteva tutto quanto occorreva alla loro precaria esistenza: la
protezione, la fecondità, la discendenza e il possesso della terra, nel
contesto di un patto al quale il clan doveva rimanere fedele.
La storia di Isacco è narrata soprattutto per i rapporti intercorsi
con suo padre Abramo. La Bibbia descrive Isacco come una persona, pallida e
indifesa, prigioniero degli intrighi dei suoi stessi familiari. La sua
figura è quasi subito soverchiata da quella del figlio Giacobbe, un
personaggio piuttosto complesso presentato inizialmente dall’autore biblico
come l’uomo dell’astuzia che agisce di propria volontà, determinato nel
raggiungere i suoi fini con ogni mezzo, in lotta costante con i suoi
parenti, ma pronto a tutto pur di impossessarsi della benedizione di Dio.
Tuttavia Dio lo protegge e agisce in lui, utilizzandolo quale antenato del
popolo eletto: i suoi dodici figli, infatti, saranno gli antenati delle
dodici tribù d’Israele. |
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2°) IL LIBRO DELL’ ESODO
- Il secondo libro del Pentateuco, l’ Esodo tratta dell’uscita dall’Egitto e
dell’Alleanza fra Dio e il suo popolo. Fu intitolato “Esodo” perché
narra come Dio liberò gli ebrei, facendoli uscire dall’Egitto. Il libro si
sviluppa attorno ad una “uscita” del popolo ebraico che, oppresso
dalla potenza egiziana, “esce” dalla terra dei Faraoni verso un nuovo
orizzonte di libertà; “esce” dalle limitazioni e dalle imposizioni religiose
egiziane per servire il Signore in un culto libero e sincero. Gli Israeliti,
una volta liberi, vagano attraverso il deserto e giungono al monte Sinai,
dove si realizza un altro grandioso evento: l’alleanza tra Dio e il suo
popolo. Dio consegna a Mosè il “Decalogo”, i così detti “Dieci
Comandamenti” che costituiranno la base della “morale biblica” e la
risposta che Israele dovrà offrire al Dio quale segno di riconoscimento per
averlo sottratto alla oppressione dei Faraoni. Dio ha liberato per amore il
popolo ebraico, ma esso ora è chiamato ad onorarlo, adorarlo e
corrisponderlo in un amore vicendevole. Per questo Mosè riceve da Dio
indicazioni particolareggiate per la costruzione della “Legge” e l’uso di
tutto quello che servirà alla celebrazione del culto del Signore. Dopo la
narrazione dell’infedeltà degli Israeliti, che raffigurano Dio nella forma
di un vitello d’oro, il libro nell’ultima parte racconta come il popolo
costruì tutto quanto era necessario per il culto del Signore, ubbidendo ai
suoi ordini. Così gli Israeliti possono iniziare il cammino attraverso il
deserto, verso la terra promessa da Dio, la terra di Canaan. Molte ricerche
sono state fatte per delimitare il tempo in cui questi fatti sarebbero
avvenuti. Il libro dell’Esodo è stato scritto per esprimere la fede
d’Israele, ciò non significa che esso poggia su fatti immaginari. Si era
probabilmente nel XIII° secolo a.C., dopo il regno del Faraone Ramses II,
nel tempo in cui governava l’Egitto il Faraone Merneptah.
L’Esodo rimarrà nella storia e nella fede d’Israele un grande segno
divino: Dio che si rende presente nel popolo d’Israele e si rivela nella
storia come il ‘Signore’ della libertà. Il libro dell’esodo sul piano
teologico non è un libro compiuto. È ritenuto dagli studiosi il libro di un
popolo in cammino. Quale testimone dell’intervento salvifico di Dio nella
storia umana, esso nutre la speranza di una nuova futura libertà che sarà
vista dagli autori del Nuovo Testamento nella salvezza definitiva recata da
Gesù Cristo. |
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3°) IL LIBRO DEL LEVITICO
- Il libro del Levitico tratta della Liturgia. Il titolo si riferisce alla
tribù di Levi; il contenuto del libro riguarda l’attività cultuale dei
sacerdoti leviti. Il Levitico è nato dalla riflessione dei sacerdoti che
hanno voluto raccogliere in un’unica opera tutta la legislazione religiosa,
sociale ed etica d’Israele. Religione, legge e morale sono così intimamente
legate in una unità, come presso nessun’altra religione. Infatti si
interessa delle norme che rendono possibile l’accesso del fedele al culto,
al fine di sviluppare la loro vita spirituale. Tratta di norme sacrificali e
rituali che consentono di celebrare nella liturgia e nella vita quotidiana
l'incontro con Dio; mirano a far sentire ai fedeli che le praticano il
legame continuo e indissolubile con Dio. Cardine della morale del Levitico è
la distinzione tra ‘sacro e profano’, tra ‘puro e impuro’. Da questo
principio derivano precise norme che riguardavano l’uso degli alimenti e del
sesso. Il libro, che ha come sfondo ideale il Sinai e la rivelazione di Dio
a Mosè, contiene un “complesso di leggi” destinate agli Israeliti. In esse
Dio spiega come eliminare quello che ostacola la comunione con lui; come
agire perché la tenda (luogo della presenza del divino) sia davvero un luogo
di incontro tra Dio e il popolo; come i sacerdoti devono offrire i
sacrifici.
Il terzo libro del Pentateuco, in definitiva, è un inneggiare alla “legge
della sacralità e della santità”. La legislazione liturgica e sacrale
racchiude l’area in cui si compiono i riti ed ha nel tempio il suo segno più
alto. Essa è costituita da un insieme di leggi, apparentemente formali ed
esteriori, atte a ricordare ai credenti di tutti i tempi e di ogni luogo che
la comunione con Dio è una necessità vitale per l’uomo e che tutta
l’esistenza del fedele deve essere coinvolta nell’adesione al Signore. La
santità è una virtù morale che origina da atteggiamenti interiori dell’uomo
e coinvolge la sua coscienza, norma che verrà ripresa e ampiamente
sviluppata da Gesù nei Vangeli. La legge della santità deve regolare la vita
sociale e liturgica del popolo, perché tutto deriva dalla Santità di Dio.
Il Levitico è forse il libro dell’A.T. meno letto dai cristiani.
Effettivamente non è facile abbordarlo, tanto più che sembra trattare di
pratiche alquanto anacronistiche per il lettore moderno. Certamente, però, è
un libro che giustifica e legittima il bisogno umano di esprimere la propria
fede con gesti religiosi. Al tempo stesso il Levitico preannunzia e prepara
la venuta di Gesù Cristo, cioè di colui che con il sacrificio della sua vita
ha portato alla massima espressione di spiritualità i valori del culto e
della santità. |
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4°) IL LIBRO DEI NUMERI
- Il libro dei Numeri parla del Popolo di Dio in cammino nel deserto. Il
libro dei Numeri è stato così intitolato dall’antica tradizione greca perché
riporta molti elenchi e censimenti degli Israeliti. In effetti il suo
contenuto è molto più ampio; è il più complesso dei libri del Pentateuco. Il
libro si presenta al lettore sotto forma di racconto, ma il filo conduttore
finisce spesso per sparire sotto la complessità delle prescrizioni legali
intercalati da particolari narrativi. Il libro dei Numeri rappresenta la
continuazione dei due libri precedenti (Esodo e Levitico). Ci mostra il
popolo di Dio nella sua realtà più umana, che alterna fiducia e dubbio; un
popolo soggetto a farsi catturare dalla tentazione dello scoraggiamento,
della ribellione e dell’idolatria. Così appare molto chiara, per contrasto,
la costante fedeltà di Dio verso il suo popolo, il che non esclude però
severità e giustizia.
L’unità narrativa del libro dei Numeri va incentrata nel “deserto”.
Lo sfondo entro cui sono collocate le leggi e le narrazioni di questo libro
è, infatti, quello del deserto del Sinai, attorno a cui Israele è accampato
in attesa della grande marcia di avvicinamento alla terra promessa. Gli
Israeliti, dopo aver ricevuto le leggi che Dio aveva comunicato a Mosè, si
mettono in cammino; il loro viaggio attraverso il deserto li conduce
dapprima a Kades, all’ingresso della terra promessa. Ma essi hanno paura di
entrarvi. Sono così condannati dal Signore a trascorrere quarant’anni nel
deserto. Solo allora si dirigono dopo un lungo e faticoso giro ai confini
del territorio di Moab. Gli ultimi capitoli riportano vari avvenimenti alle
soglie della terra tanto attesa e sperata, cioè nella terra di Canaan. Si
incontrano qui gli ultimi grandi ostacoli, quali la ribellione a Mosè e la
tentazione dell’idolatria.
Sono tre i grandi attori che dominano la scena di questo libro. Innanzitutto
il Signore che con i suoi comandi tende ad organizzare Israele in una
comunità santa e unita sulla quale aleggia sempre la Sua presenza, legata
all’arca dell’alleanza. Il popolo non è mai solo o abbandonato. Accanto a
Dio emerge Mosè (il secondo attore), che funge da mediatore tra il
Signore e Israele. Mosè svolge nelle vicende riferite in questo libro un
ruolo difficile da interpretare. Mosè è il profeta delle esigenze di Dio con
il quale nutre grande confidenza, ma nello stesso tempo rimane intensamente
legato al suo popolo infedele. Da ultimo, ecco il terzo attore, il popolo
di Israele. L’autore biblico ce lo presenta sotto tre fondamentali
angolature: - come “un popolo in cammino” governato dalla parola del
Signore, votato al suo culto; - come “un popolo isolato”, sottratto
quindi ad ogni influenza straniera; - come “un popolo in formazione”
nel quale molti problemi fondamentali attendevano ancora una risposta.
Descritto nella sua struttura tribale, militare e religiosa attraverso i
censimenti, Israele è spesso ribelle e ostinato. Ma il Signore rimane sempre
accanto al suo popolo, anche se esso si dimostra infedele. È il Signore a
vincere la resistenza delle forze della natura che sembrano opporsi al
cammino verso la terra promessa (la mancanza d’acqua e di cibo, la comparsa
di serpenti velenosi); è lui a piegare le resistenze ostili delle tribù
beduine nel deserto, combattendo a fianco di Israele.
L’analisi teologica del testo mette in rilievo la coscienza molto
acuta del male e del peccato, quale realtà del mondo permanente e cronica.
Ebbene, <Dio sceglie un popolo di peccatori> destinandolo a portare la
benedizione di Dio all’intera umanità; è un messaggio che il popolo dei
cristiani avrà bisogno sempre di riascoltare per restare fedele alla propria
chiamata alla santità, e senza perdere di vista o scoraggiarsi di fronte
alla realtà di uomini che essa raduna.
La Chiesa di oggi deve riconoscersi nella riflessione di fondo che
scaturisce dal libro dei Numeri, per aiutarla ad affrontare le crisi che
inevitabilmente attraversano il suo cammino di fede. |
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5) IL LIBRO DEL DEUTERONOMIO
- Il libro del Deuteronomio tratta della legge e della morale. Infelicemente
intitolato Deuteronomio, cioè “Seconda Legge”, dall’antica traduzione
greca detta dei settanta. Il quinto libro del Pentateuco è conosciuto anche
sotto il nome di “Torah” o “Legge”, ma sarebbe stato meglio definirlo con il
titolo ebraico di “Parole” o “Discorsi”. Infatti l’opera si presenta come
una serie di discorsi messi in bocca a Mosè, al cui interno vengono
presentate leggi e prescrizioni morali atte a reggere Israele e a regolare
ogni situazione di vita quotidiana. Esse sono affidate al popolo con
particolare passione e intensità, con uno stile che richiama le ‘omelie’.
I grandi temi veicolati dal Deuteronomio sono incentrati: - sul mistero di
Dio; - sull’elezione di un popolo nella continuità della storia; -
sull’Alleanza di Dio con il popolo; - sull’esigenza di un agire
corrispondente, rispettando la legge data da Dio a indicare l’unica via
verso cui deve procedere l’intero popolo; - sul ringraziamento per il dono
della terra promessa. Questo insegnamento è destinato a tutto Israele.
L’ascoltatore, invitato ad aderire con amore e fedeltà, è interpellato con
tono persuasivo, ora col voi ora col tu, proprio perché tutti e ciascuno si
sentano coinvolti. Trascinato dall’entusiasmo e dalla passione, l’autore
biblico costruisce un linguaggio particolare caratterizzato da inviti
pressanti: “Ascolta Israele…”, “Osserva Israele…”, “Amare
il Signore tuo/nostro/vostro Dio… con tutto il cuore e con tutta l’anima”,
“Seguite la strada del Signore…”, “Osservate e mettete in pratica
gli ordini, le leggi e le norme…” etc, etc.
Se considerato <in senso generale>, il Deuteronomio rappresenta una
conferma delle leggi contenute nei libri precedenti, a cui però si
aggiungono molti elementi nuovi. In tal senso, la prima legislazione sarebbe
quella iniziata al Sinai, e sviluppatesi lungo la peregrinazione nel
deserto; mentre la seconda sarebbe quella formulata prima dell’ingresso
nella terra promessa.
Sul <piano narrativo> appare al lettore come un’opera notevolmente
complessa, difficile da intravedervi un filo conduttore. Visto nelle sue
linee generali il libro si presenta come il resoconto di tre discorsi
pronunziati da Mosè, per ricordare agli Israeliti le esigenze dell’alleanza
che Dio ha fatto con loro. Il primo discorso riassume le vicende
vissute dagli Israeliti nel deserto dopo la partenza dal Sinai; rivolge loro
esortazioni generiche e si conclude con l’invito a essere fedeli
all’alleanza con il Signore. Il secondo discorso, più lungo e il più
importante, dopo aver ribadito i principi del Decalogo, contiene una nuova
promulgazione della “Legge” contenente norme religiose, insegnamenti
etico-morali e legislativi. Dice Mosè che l’amore di Dio mostrato verso il
suo popolo esige ora la fedeltà da parte del popolo con l’osservanza della
“Legge”. Il terzo discorso riferisce le ultime disposizioni di Mosè,
e si conclude con benedizioni in caso di fedeltà, e maledizioni in caso di
ribellione alla legge del Signore. Segue, a conclusione, un’appendice
storica che narra l’elezione di Giosuè a successore di Mosè, il racconto
della sua morte e la benedizioni alle dodici tribù.
Sul <piano redazionale> il Deuteronomio è costituito da una vasta
raccolta di scritti e di precetti tratti dalla predicazione levitica, nata
con Mosè. Con le sue esortazioni, i suoi sentimenti e le sue promesse il
libro accompagnò costantemente Israele dalle soglie della terra promessa
fino al momento dell’esilio babilonese.
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“Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il
Signore è uno solo”
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Troviamo in questa affermazione quanto costituì per
Israele il riferimento di base, il punto di partenza e di convergenza di
ogni pensiero e di ogni azione. La frase: - “il nostro Dio” - implica che
egli è considerato innanzitutto come colui che si è manifestato attraverso
la storia di un popolo. L’affermazione: - “Israele ha potuto vedere con i
propri occhi” – è come dire, il Signore stesso gli ha donato la capacità di
poterlo riconoscere nel suo agire. Tutto ciò deve indurre Israele a
ringraziare il Signore per i suoi doni elargiti al popolo, ma implica anche
il dovere di una risposta attiva rimanendo fedeli alla sua legge in ogni suo
particolare, affinchè Israele possa entrare veramente a contatto con gli
avvenimenti della salvezza.
L’autore biblico mette in risalto l’importanza e la libertà dell’obbedienza
alla legge di Dio; egli presenta la legge accompagnandola a promesse di
prosperità a quanti la praticano e a minacce di disgrazia per chi la
trasgredisce. Infatti la “Legge”, contropartita dell’alleanza, pone Israele
di fronte a una questione di vita o di morte, di scelta fra il bene e il
male. La libera scelta tra due strade, quella che porta alla morte
spirituale e quella che conduce alla via della salvezza, costituirà uno dei
temi centrali dei Vangeli.
Sul <piano teologico> il Deuteronomio si potrebbe definire come “una
grande riflessione” dell’intera storia del popolo d’Israele, in cui
l’autore biblico puntando sul valore dell’allenza instaurata da Dio con il
popolo ebraico ribadisce, attraverso diverse angolature, la necessità di
osservare la legge per rimanere vicini al Signore, e ammonisce sulla
continua tentazione del popolo a ribellarsi a Dio. L’autore del Deuteronomio
invita a ripensare gli avvenimenti che sono alla radice della storia del
popolo d’Israele e a rispondere con fedeltà sincera e con amore. |
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