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SCOPRIRE LA CONOSCENZA DI DIO CON UN LINGUAGGIO SEMPLICE
 



IL LIBRO DELLA GENESI
 
 

LE “NUOVE FRONTIERE” DELLA SCIENZA E DELLA BIOLOGIA

 

L’interesse attuale della scienza, più che mettere a disposizione le conoscenze scientifiche scaturite dall’osservazione dei fenomeni naturali per un miglior utilizzo delle risorse disponibili in natura, è rivolta essenzialmente a tentare di modificare il creato esistente, seguendo a passo le capacità e le potenzialità che man mano sono offerte dal progresso tecnologico. Tutto questo contrasta con la visione biblica secondo cui l’uomo ha bisogno della natura per completare la visione del sé, attraverso l’osservazione e l’analisi delle perfezioni insite nel creato.
L’apparato tecnico-scientifico occidentale, basato generalmente sul principio di una libertà senza norme, tenta di anteporre i bisogni dell’uomo alle esigenze della natura, partendo dal presupposto che l’uomo dispone di una quantità illimitata di energie e di risorse da utilizzare. Questa concezione egocentrica, presente in diversi campi della scienza e della cultura del nostro tempo, ha eliminato qualsiasi riferimento a un “principio trascendente”, necessario per creare un ponte di mediazione tra scienza e religione, indispensabile per definire limiti e confini tra tecnologia ed etica. La pretesa da parte della scienza di esercitare un dominio incondizionato sulle risorse del mondo sembra però aver raggiunto un punto critico nel delicato equilibrio tra uomo e natura. Suscita, infatti, grande perplessità e profonda inquietudine la crescente capacità d’intervento trasformativo sulla natura e l’uso indiscriminato dei progressi tecnologici, solo in virtù di semplici considerazioni economiche o solo perché una data tecnologia è disponibile. Prova ne sia, l’estremo limite cui ha teso negli ultimi decenni la scienza nella corsa per il dominio della natura realizzando “oggetti tecnologicamente aberranti”, come ad esempio le armi di distruzione di massa (armi chimiche e batteriologiche), che paradossalmente sono destinate alla distruzione e non al miglioramento della qualità della vita. Anteponendo i propri bisogni contingenti alle esigenze della natura, l’uomo di fatto ha sancito il suo divorzio con la natura. Conseguentemente cercherà di affidarsi sempre più spesso alla tecnologia come unico “mezzo salvifico”, eludendo la motivazione propria dell’indagine scientifica volta primariamente al progresso e al bene dell’umanità nel rispetto dell’uomo e della natura. Con crescente preoccupazione assistiamo ad un incremento delle pressioni di tipo economico, politico e militare che condizionano la scienza, con la conseguenza di subordinare la tecnologia al “mercato”, al punto che l’aggressione sistematica della natura e delle sue risorse può essere giustificata solo nell’ambito di un criterio di efficienza o in una logica di profitto.
L’uso di nuove biotecnologie applicate nel campo dell’agricoltura, della zootecnia e della medicina, suscitano analoghe preoccupazioni perché presto potrebbero divenire necessità vitali non appena incorporate nel regime socio-economico delle abitudini e dei bisogni. Bisogna stare in guardia dal liquidare semplicisticamente, definendo “paure irrazionali” o “ostacoli” al progresso della scienza, motivate preoccupazioni nutrite su un uso liberale e liberalizzato delle tecniche bio-molecolari d’ingegneria genetica, applicate sia in campo animale che vegetale. La liceità dell’uso di biotecnologie è legata alla valutazione delle possibili conseguenze in termini di rischio a carico degli organismi viventi entro poco tempo e alle possibili ripercussioni d’impatto ambientale a lungo termine. Per questo è necessario soppesare attentamente la reale utilità, le potenzialità, i vantaggi e gli eventuali rischi connessi all’uso delle tecniche biogenetiche. Fuor di dubbio sono da condannare, sia sul piano etico che sul piano scientifico, l’uso delle tecniche di laboratorio d’ingegneria genetica indirizzate alla “clonazione riproduttiva”, cioè in grado di creare artificialmente in provetta, al di fuori quindi di un processo naturale, un essere vivente geneticamente identico ad un altro. Ciò sovvertirebbe il principio biologico universale d’identità, di unicità e di irripetibilità degli esseri viventi.
Scienziati e tecnici, impegnati nella medicina in settori d'avanzata biotecnologia non compiranno atti illeciti se, rispettando l’ordine, l’armonia della natura e la biodiversità d'ogni essere vivente, interverranno solo per “correggere” o “porre rimedio” ad alcune anomalie del genoma umano con l’unico, inequivocabile e provato fine di sconfiggere malattie o di migliorare la qualità della vita. Essi, innanzitutto, saranno chiamati a lavorare con intelligenza, guidati da una coscienza limpida e onesta, consapevoli di “trattare” materiale vivente che appartiene al patrimonio comune dell’umanità, destinato a generazioni future. Rimangono fuori discussione la sperimentazione e l’uso delle biotecnologie nella prevenzione, nella diagnostica e nella cura di terribili malattie che affliggono tanti esseri umani.
Dubbi e perplessità, invece, possono insorgere di fronte a necessità vitali, ritenute tali o presunte, per “interventi genetici” messi in atto per il concepimento o prima della nascita, laddove preferenze o capacità individuali, condizionamenti esterni o scelte di mercato, potrebbero rimettere nelle mani di ‘qualcuno’ il compito di definire gli obiettivi delle scelte e degli interventi correttivi da intraprendere per giudicare una persona “degna di vita”.
L’etica cristiana, partendo dal presupposto che l’embrione rappresenta una vita umana fin dal momento del concepimento, in linea di principio ritiene che non è lecito uccidere una vita, anche se allo stato embrionale, per salvarne un’altra. È per questo motivo che condanna l’utilizzo sperimentale delle “cellule staminali” derivanti da embrione umano per sperimentazione o per salvare la vita di un’altra persona. Il far dipendere dal condizionamento di valori nutriti da ‘terzi” il destino e la qualità della vita futura del nascituro, sulla base dell'indicazione di un test genetico o della disponibilità tecnico-potenziale del nostro patrimonio genetico, pone l’uomo di fronte ad un'enorme responsabilità. Rappresenta una “sfida ad alto rischio” che deve costituire motivo per indurre una seria e profonda riflessione sul piano etico, morale e scientifico, sia da parte di credenti che di non credenti. Significherebbe, in ogni caso, imbroccare la strada pericolosa della strumentalizzazione della vita in laboratorio, strada da cui difficilmente si potrebbe tornare indietro!
La società moderna, dominata da una cultura prevalentemente ‘laicista’, caratterizzata da una visione prevalentemente ‘tecnicizzata’ del mondo, legata ad uno spiccato ‘individualismo’, è ben lontana dalla concezione biblica che è volta a ricercare il valore di senso del mondo e della vita in funzione dell’uomo e ad interrogarsi sulle ragioni ultime dell’esistenza: “Chi siamo”, “da dove veniamo” e “dove andiamo”. Secondo una “visione sacrale”, infatti, la vita rappresenta un dono di Dio sacro e inviolabile che l’uomo ha il compito di salvaguardare e non può decidere autonomamente di disporne a suo piacimento.
In una società globalizzata e secolarizzata, che tende ad espellere Dio dalle coscienze dell’uomo, causando una caduta verticale non solo dei valori cristiani ma anche del senso religioso della vita, occorre proclamare con fermezza la centralità e la dignità della persona umana. È questo il tempo delle idee, dei contenuti, dei valori e della domanda di senso! Il rispetto della vita, la responsabilità morale nell’esercizio della libertà, la ricerca del bene comune sono principi fondamentali che dovrebbero impegnare tutti gli uomini di là di ogni etichetta ideologica. Per fare questo però sarà necessario “uscire dagli angusti confini del relativismo e dell’utilitarismo” (Joseph Ratzinger)

 
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