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SCOPRIRE LA CONOSCENZA DI DIO CON UN LINGUAGGIO SEMPLICE
 



II° PARTE

IL COMPIMENTO DELLA STORIA DELLA SALVEZZA


 
 
 
II.4.9 La redazione dei Vangeli
 
Lo studio critico dei Vangeli richiede che si affronti, almeno nelle linee essenziali, la questione della loro formazione, per poi passare a delinearne le caratteristiche letterarie e infine saggiarne la credibilità storica.
Gli studiosi dei Vangeli concordano nell’affermare che gli evangelisti dovettero fare un lavoro organizzativo non dissimile da quello di un moderno redattore di un giornale: un lavoro di scelta e di sintesi del materiale a disposizione su detti ed epi-sodi della vita di Gesù, provenienti sia dalla tradizione orale, da ricordi personali o da testimoni diretti, sia da fonti scritte della chiesa primitiva che all’epoca già circo-lavano.
I destinatari dei Vangeli non erano persone d’alto rango culturale, ma gente di media cultura. La preoccupazione degli evangelisti era di far giungere l’annuncio della salvezza a un pubblico più largo possibile; s’imponeva quindi l’uso di un linguaggio accessibile a tutti e adeguato all’ambiente (giudaico o pagano) a cui era indirizzato. Così ai giudei era necessario ricordare i legami di Gesù con l’Antico Testamento, ai pagani la figura e la dottrina di Dio Padre, buono e misericordioso verso tutti.
Tutto il materiale scritto e orale di cui disponevano gli evangelisti era sistema-to da ciascuno di loro secondo uno schema personale, ed impostato non secondo una storia da raccontare ma secondo una materia da plasmare. Certamente non per questo gli evangelisti hanno avuto un ruolo meramente passivo, di semplici compilatori di materiale tradizionale preesistente sulla vita di Gesù. Ciascuno di loro, indipendentemente e per conto proprio, ne avrebbe fatto una rilettura personale presentando la figura e l’opera di Gesù in maniera diversificata, secondo una propria angolatura suggerita dalla personale intuizione di fede su Cristo e di Cristo.
Si è potuto così accertare che ogni evangelista ha impresso alla propria opera un’impronta teologico-pastorale personale, adattando il proprio vangelo alle esigenze culturali e religiose della comunità a cui era rivolto. Questa “libertà redazionale” attesta la volontà degli autori dei Vangeli di rappresentare la vita e il messaggio di Gesù all’insegna della “fedeltà” e senza cercare di accordare tra loro le singole narrazioni, cosa che avrebbero fatto sicuramente se fossero stati loro gli “inventori” del testo. Inoltre, dal confronto tra i Vangeli e le lettere di Paolo, antecedenti di un ventina d’anni, si rileva un ulteriore ‘fattore di fedeltà’ degli evangelisti. Infatti, i Vangeli cosiddetti Sinottici di Marco, Matteo e Luca, anche se redatti una quarantina d’anni dopo la morte di Gesù, pur attingendo a fonti indipendenti da Paolo descrivono la situazione religiosa esistente ai tempi di Gesù che sul piano teologico si accorda perfettamente con gli approfondimenti della dottrina paolina. Ciò escluderebbe il dubbio sollevato dagli oppositori dei Vangeli di un’eventuale ‘ricostruzione a posteriori’ di questo quadro d’insieme.
Queste sono le ragioni per cui gli evangelisti sono da considerare come veri autori, nelle qualità di redattori di tradizioni e di fonti sulla vita di Gesù, considerate intangibili nella sostanza, ma suscettibili di nuovi approfondimenti sulla base della progressiva penetrazione nella chiesa del mistero di Cristo.
La “critica storica” ha cercato di penetrare nei trenta-quaranta anni di tradi-zione orale che separano Gesù dai primi scritti. Come già affermato in precedenza, presume l’esistenza di un aggregato di tante piccole unità, sorte autonomamente le une dalle altre, che costituiscono una tappa intermedia tra l’annuncio orale e quello scritto definitivo. Partendo da questo presupposto la maggioranza dei critici moderni ha individuato nell’evangelista “Marco l’inventore del genere letterario Vangelo” il quale, intorno al 70 d.C., opera per primo l’assemblaggio del materiale tradizionale circolante costituito da singole unità letterarie, in un’opera elementare sul piano teologico, caratterizzata da un racconto sufficientemente continuo sul piano narrativo. Da Marco dipenderebbero Matteo per l’80% e Luca per il 65%, mentre Giovanni seguirebbe una via del tutto autonoma. Il materiale non marciano, in comune tra Matteo e Luca di carattere prevalentemente didattico, sarebbe proveniente da un primo Vangelo a noi non pervenuto, un Vangelo primitivo scritto in aramaico, definito dagli studiosi convenzionalmente con la sigla “Q”, scaturito nell’ambito delle prime comunità cristiane.
 
 
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