| Lo studio critico dei Vangeli richiede che si 
  affronti, almeno nelle linee essenziali, la questione della loro formazione, 
  per poi passare a delinearne le caratteristiche letterarie e infine saggiarne 
  la credibilità storica.Gli studiosi dei Vangeli concordano nell’affermare che gli evangelisti 
  dovettero fare un lavoro organizzativo non dissimile da quello di un moderno 
  redattore di un giornale: un lavoro di scelta e di sintesi del materiale a 
  disposizione su detti ed epi-sodi della vita di Gesù, provenienti sia dalla 
  tradizione orale, da ricordi personali o da testimoni diretti, sia da fonti 
  scritte della chiesa primitiva che all’epoca già circo-lavano.
 I destinatari dei Vangeli non erano persone d’alto rango culturale, ma 
  gente di media cultura. La preoccupazione degli evangelisti era di far 
  giungere l’annuncio della salvezza a un pubblico più largo possibile; 
  s’imponeva quindi l’uso di un linguaggio accessibile a tutti e adeguato 
  all’ambiente (giudaico o pagano) a cui era indirizzato. Così ai giudei era 
  necessario ricordare i legami di Gesù con l’Antico Testamento, ai pagani la 
  figura e la dottrina di Dio Padre, buono e misericordioso verso tutti.
 Tutto il materiale scritto e orale di cui disponevano gli 
  evangelisti era sistema-to da ciascuno di loro secondo uno schema personale, 
  ed impostato non secondo una storia da raccontare ma secondo una materia da 
  plasmare. Certamente non per questo gli evangelisti hanno avuto un ruolo 
  meramente passivo, di semplici compilatori di materiale tradizionale 
  preesistente sulla vita di Gesù. Ciascuno di loro, indipendentemente e per 
  conto proprio, ne avrebbe fatto una rilettura personale presentando la figura 
  e l’opera di Gesù in maniera diversificata, secondo una propria 
  angolatura suggerita dalla personale intuizione di fede su Cristo e di Cristo.
 Si è potuto così accertare che ogni evangelista ha impresso alla propria opera 
  un’impronta teologico-pastorale personale, adattando il proprio vangelo alle 
  esigenze culturali e religiose della comunità a cui era rivolto. Questa 
  “libertà redazionale” attesta la volontà degli autori dei Vangeli di 
  rappresentare la vita e il messaggio di Gesù all’insegna della “fedeltà” e 
  senza cercare di accordare tra loro le singole narrazioni, cosa che avrebbero 
  fatto sicuramente se fossero stati loro gli “inventori” del testo. Inoltre, 
  dal confronto tra i Vangeli e le lettere di Paolo, antecedenti di un ventina 
  d’anni, si rileva un ulteriore ‘fattore di fedeltà’ degli evangelisti. 
  Infatti, i Vangeli cosiddetti Sinottici di Marco, Matteo e Luca, anche se 
  redatti una quarantina d’anni dopo la morte di Gesù, pur attingendo a fonti 
  indipendenti da Paolo descrivono la situazione religiosa esistente ai tempi di 
  Gesù che sul piano teologico si accorda perfettamente con gli approfondimenti 
  della dottrina paolina. Ciò escluderebbe il dubbio sollevato dagli oppositori 
  dei Vangeli di un’eventuale ‘ricostruzione a posteriori’ di questo quadro 
  d’insieme.
 Queste sono le ragioni per cui gli evangelisti sono da considerare come veri 
  autori, nelle qualità di redattori di tradizioni e di fonti sulla vita di 
  Gesù, considerate intangibili nella sostanza, ma suscettibili di nuovi 
  approfondimenti sulla base della progressiva penetrazione nella chiesa del 
  mistero di Cristo.
 La “critica storica” ha cercato di penetrare nei trenta-quaranta anni di 
  tradi-zione orale che separano Gesù dai primi scritti. Come già affermato in 
  precedenza, presume l’esistenza di un aggregato di tante piccole unità, sorte 
  autonomamente le une dalle altre, che costituiscono una tappa intermedia tra 
  l’annuncio orale e quello scritto definitivo. Partendo da questo presupposto 
  la maggioranza dei critici moderni ha individuato nell’evangelista “Marco 
  l’inventore del genere letterario Vangelo” il quale, intorno al 70 d.C., opera 
  per primo l’assemblaggio del materiale tradizionale circolante costituito da 
  singole unità letterarie, in un’opera elementare sul piano teologico, 
  caratterizzata da un racconto sufficientemente continuo sul piano narrativo. 
  Da Marco dipenderebbero Matteo per l’80% e Luca per il 65%, mentre Giovanni 
  seguirebbe una via del tutto autonoma. Il materiale non marciano, in comune 
  tra Matteo e Luca di carattere prevalentemente didattico, sarebbe proveniente 
  da un primo Vangelo a noi non pervenuto, un Vangelo primitivo scritto in 
  aramaico, definito dagli studiosi convenzionalmente con la sigla “Q”, 
  scaturito nell’ambito delle prime comunità cristiane.
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