Al di là dei modelli e dei titoli cristologici
attribuibili o attribuiti a Gesù nei Vangeli, i documenti maturati dagli atti
di fede delle prime comunità cristiane dopo l’evento pasquale manifestano
all’umanità il volto definitivo di Dio, il Padre, e la figura di Gesù, il
Figlio unigenito. È un evento che si connota con le caratteristiche
peculiari di un’autorivelazione, e che si esplicita come una sorta di ‘complementarietà
funzionale’ in un rapporto di ‘reciproca osmosi’
tra il Padre e il Figlio.
In effetti, in Gesù convergono e hanno compimento tutte le azioni salvifiche
di Dio riferite all’Antico Testamento, a conferma della medesima identità del
Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento. Anche se il giudaismo ufficiale ha
rivendicato per sé nel progetto della rivelazione di Dio un ruolo preminente
ed esclusivo per il popolo d’Israele, attraverso una attenta analisi dei
temi fondamentali dell’Antico Testamento si rivela che non ce ne sia uno
che non trovi continuità e sviluppo nel Nuovo Testamento. Pertanto, in uno
schema di interpretazione moderna, l’interdipendenza tra l’Antico e il Nuovo
Testamento va visto come rapporto di “predizione” e di “compimento”. Lo studio
teologico del cristianesimo è incompleto se non si individuano, da un lato
l’unità sul piano teologico e l’unicità spirituale, e dall’altro lato i
rapporti di correlazione e di reciprocità tra l’Antico e il Nuovo Testamento.
Il Gesù riconosciuto come il Messia nei testi evangelici non è realmente
identificabile con una qualche figura dell’A.T. La sua figura è riconosciuta
come il Messia solo perché unifica nella sua persona tutte le predizioni
dell’A.T. che si possono definire “messianiche”. Era necessaria la crescita
religiosa di Israele affinchè “Gesù” potesse
essere riconosciuto per ciò che egli veramente rappresentava: cioè “la
chiave” per la comprensione dell’A.T., “la
sintesi” del Piano di Dio per la ‘Salvezza’. |