Gesù è vissuto in un periodo storico difficile ed effervescente, esposto da un
lato alla ‘febbre messianica’ dell’attesa di un Messia liberatore dalla
sottomissione all’impero romano, dall’altro lato alla tentazione zelota che
incitava il popolo giudaico alla ribellione e alla rivolta armata contro i
Romani.
Gesù apparve sulla scena poco dopo Giovanni il Battista, con il quale collegò
esplicitamente la sua predicazione. Lo storico Giuseppe Flavio riferisce che la
morte di Giovanni non avvenne soltanto a causa di Erodiade, come racconta il
Vangelo di Marco, ma per la paura di tumulti che si potevano innescare a causa
delle compo-nenti escatologiche e messianiche contenute nella sua predicazione.
Anche la predicazione di Gesù, nonostante fosse imperniata sull’annuncio del
Regno di Dio, non poteva non risvegliare indirettamente negli ascoltatori
speranze di liberazione politica e di riscatto sociale.
Possiamo affermare con certezza che la predicazione di Gesù non presentava
contenuti politici, non incitava alla violenza e alla ribellione contro
l’occupazione romana; né Gesù si pose a capo di un movimento rivoluzionario o
d’emancipazione sociale. Fu sempre attento a tracciare una linea di demarcazione
accurata e sottile tra il religioso e il politico, rilevando che il potere
romano era inquadrato in un disegno divino, verso il quale vi era l’obbligo del
rispetto e della lealtà. L’azione di Gesù, infatti, si muoveva su un terreno
essenzialmente religioso. Predicava un insegnamento vicino per molti aspetti ai
Maestri della Legge. Dichiarava che la Legge era la norma fondamentale di
condotta, anche se a volte la sua interpretazione poteva sembrare scandalosa ai
suoi uditori, soprattutto in riferimento alla precisazione su alcune osservanze
rituali o all’inasprimento di talune prescrizioni morali. E’ anche vero che la
sua predicazione conteneva elementi innovativi di notevole risonanza sociale,
le cui conseguenze non potevano non impensierire le autorità politiche e
reli-giose del tempo. Certamente l’attività e la predicazione di Gesù non si può
isolare dalla situazione politico-religiosa della Palestina.
Il comportamento di Gesù descritto nei Vangeli è deviante rispetto ai valori
fondamentali della società in cui egli si muove ed il suo ritratto sfugge a
qualsiasi schema o modello di vita religiosa a lui contemporanea. Gesù
proclamava una dottrina che affermava la necessità di amare i propri nemici,
vietando perfino di difendersi. Raccomandava prudenza per non eccitare
l’entusiasmo patriottico e sceglieva la via dell’amore passante attraverso
l’umiliazione e la sofferenza. Gesù attribuiva alla povertà e all’umiltà valori
moralmente positivi, addirittura esaltava la povertà come un bene, al punto da
definire i poveri beati. Poneva la sua potenza nella debolezza, la sua vittoria
nel fallimento della croce, la sua speranza nell’ignavia degli uomini. Al
contrario del mondo giudaico dove la povertà era considerata come il segno di
scarsa benevolenza divina, la persona umile era disprezzata e considerata
ignobile e di scarso valore. Gesù, inoltre, ostentava un atteggiamento positivo
verso due realtà svalutate dal giudaismo: le donne e i bambini.
Il giudaismo, infatti, si rivelava come una religione di uomini, in sintonia con
il mondo pagano antico (da Socrate a Platone, da Euripide a Pitagora, a Cicerone
etc...) e con la cultura maschilista risalente all’epoca dei Patriarchi. Anche
se nel racconto della creazione la donna era stata creata uguale all’uomo,
l’evoluzione degli usi e costumi della vita sociale ebraica assegnavano un ruolo
marginale alla donna, o peggio ancora il ruolo di “oggetto”. Talvolta era
considerata anche come creatura impura da guardare con diffidenza. Tenuta in una
condizione d’inferiorità sociale, totalmente subordinata al marito, non le
veniva riconosciuto alcun diritto, salvo quello di essere nata per mettere al
mondo e allevare figli. Era soggetta al ripudio, a cui aveva diritto solo
l’uomo. Gesù, non accettando questa predominanza di ruoli, si erge a difesa
della dignità e dei diritti della donna. Spazzando via una delle cause
principali dell’emarginazione, ossia la mentalità che il compito sociale della
donna fosse quello di essere solo sposa e madre, Gesù opera un’autentica
rivoluzione a favore della donna. Infatti, a differenza della prassi rabbinica,
Gesù ama circondarsi di donne, si intrattiene pubblicamente e guarisce donne
pagane; si fa seguire anche da ex-prostitute, vilipese dalla società come
personificazione del peccato; non esita a guarire donne ritenute impure secondo
le norme rituali giudaiche; sgrida Marta a non affannarsi ad occuparsi delle
faccende domestiche (un dovere nel mondo ebraico), e la invita invece a
prodigarsi all’ascolto della ‘Parola di Salvezza’. Permette a Maria di Magdala e
alle altre discepole di seguirlo e servirlo durante la sua attività apostolica;
esse non lo abbandonarono neanche nelle ultime ore più tragiche della sua vita
mortale. L’apice sarà raggiunto quando, all’alba della Pasqua, riserva l’onore
di prime testimoni della sua Risurrezione proprio ad alcune donne, smentendo
così la norma della cultura del mondo giudaico contemporaneo che non riconosceva
alcun valore alla testimonianza femminile. Anche nei riguardi dei bambini Gesù
infrange la mentalità del tempo che tendeva ad escluderli dalla vita
comunitaria. Gesù, incurante ancora una volta delle regole del tempo, non solo
non scaccia i bambini secondo l’uso comune, ma sgrida duramente i discepoli che
li vogliono allontanare; con rovesciamento radicale dei valori, li addita
addirittura ad esempio, richiamando gli adulti alla necessità di ridiventare
come bambini per potersi aprire alla conversione e all’accoglienza del Regno di
Dio.
Ma Gesù non era soltanto un “profeta” che annunziava la venuta imminente del
Regno, era anche un “maestro” che insegnava la Legge di Mosè e si arrogava il
potere di giudicare egli stesso la Legge. Le sue interpretazioni scaturirono in
profonde risonanze sociali e religiose, colpirono al cuore alcuni cardini della
interpretazione farisaica della Legge di Mosè ed introdussero elementi di
rottura con la spiritualità giudaica del tempo. Affermando che non c’è nulla di
esterno all’uomo che entrando in lui possa contaminarlo, ma piuttosto sono le
cose che escono dall’uomo quelle che lo contaminano, Gesù metteva in discussione
tutta la concezione farisaica sulla purità, superava di colpo la distinzione
fondamentale per tutta l’antichità fra il sacro e il profano, sottoponendo
interamente la purità rituale alla purità morale. Gesù opera una vera e propria
rivoluzione nel modo di interpretare i valori religiosi che nel mondo antico
erano generalmente basati su pratiche volte a legare passivamente la gente alla
religione con pratiche rituali o con prescrizioni igieniche. Per questo appariva
scandaloso anche l’atteggiamento di Gesù nei confronti della violazione del
sabato. Questa sua interpretazione intendeva colpire la concezione religiosa del
tempo tesa ad una osservanza formale della Legge. Gesù affermava che la moralità
non è fatta dipendere dall’osservanza esteriore e legalistica delle norme della
Legge, ma dall’obbedienza autentica alla volontà di Dio. Il comportamento di
Gesù violava anche un principio fondamentale del mondo ebraico, secondo cui un
profeta doveva convalidare le sue credenziali di “Uomo di Dio” manifestando
personalità, autorità e rigorosa austerità dei costumi. Il rimprovero che
frequentemente gli era mosso era quello di mangiare e bere in compagnie
equivoche, di dare adito a situazioni scandalose, come di proteggere le
prostitute.
Tenendo presenti tutte queste realtà sociali e religiose del tempo, è chiaro che
Gesù creò nella società ebreo-giudaica un momento di critica alla mentalità
corrente. La sua dottrina cozzò con la cultura e la religione del tempo,
rappresentò sicura-mente un evento di rottura sia sul piano politico che
religioso, e non fu causa se-condaria della sua condanna a morte. Si può
comprendere allora il motivo del rifiuto immediato della comunità giudaica al
suo comportamento e alla sua predicazione; si possono giustificare anche i vari
atteggiamenti di diffidenza esplicitati dagli stessi apostoli in talune
occasioni e le loro difficoltà nel capire fino in fondo la “novità” del
messaggio proclamato dal loro maestro. |